Pagine di diario
estratti dal volume: Mario Mafai, Diario, 1926-1965, Edizioni della Cometa, Roma, 1984
(Mario Mafai non tenne un regolare diario. Scriveva annotazioni e pensieri su fogli sparsi, spesso a fianco a disegni appena abbozzati. Più tardi, annotò qualcosa sulle normali agende annuali. Tutto il materiale raccolto è stato pubblicato nel suddetto volume, con prefazione di Giuseppe Appella).
1926
martedì
….Sono così occupato nella composizione che non so pensare a null’altro.
L’arte è egoista come tutte le religioni.
Oggi però mi sentivo scoraggiato; il nudo non voleva venir fuori, mi sono adirato. La bella donna distesa è stata colpita sulla schiena.
Potevo ucciderla, ma la punta del pennello è scivolata sulla tela, impermeabile di colore come un pugnale su una corazza lucida di acciaio.
(p. 31)
1931
senza data
Antoinette tu sarai con me. Io ti vorrei dare frutta colta dagli alberi, latte purissimo per sentirti sana e bella.
(p.53)
1939
senza data
E’ vero che tutte queste cose passeranno e diventeranno ricordo. Così questo pino che si spalanca al cielo come questa vecchia casetta dal sapore romantico. Il viale stretto d’ippocastani dalle foglie chiare e i viottoli serrati tortuosi e silenziosi, che ramificazioni su queste colline!
Allora c’erano quattro donne che mi aspettavano e mi venivano incontro a salutare.
Quattro donne differenti …
Le serate….
Allora dirò: “Adesso sono donne, quella casa non è più qui, il tempo è passato” e sentirò l’amarezza nel cuore.
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(p. 75)
1942
senza altra data
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La pittura non vive di sola immagine.
Un lavoro sottile, continuo, soprattutto un’azione, organizzata.
Chiudere l’opera nelle sue parti e ogni parte nella sua funzione.
Funzione che rivendica, espressiva, emotiva.
Molta pittura ha il torto di mancare di definizione.
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(p. 79)
1949
4 febbraio
Disperdersi nel carosello degli affetti.
E’ impossibile rinunciare, difficile dominarli. Come ci sentiamo indifesi.
Il gioco del dare e dell’avere fino alla sazietà e al disgusto, un ricominciare da capo.
Come si può vincere sempre, arriva il giorno che perdi e se hai messo tutto? E’ bene tenersi qualche cosa da parte per sé, non si sa mai. Ti può mancare tutto ed è faticoso chiedere credito.
(p.83)
1954
mercoledì 27 gennaio
Le persone che sanno di tutto e criticano di tutto non hanno mai fatto nulla, incapaci.
C’è da aspettarsi di tutto da un anarchico che per odio verso gli altri diventò anche spia.
Per calmarli basta farli diventare ricchi …una poltrona
(p. 94)
1958
giovedì 27 febbraio
La realtà è fatta di contraddizioni
La contraddizione è dinamismo conscio e inconscio cioè vita.
Dominare la realtà
Non esserci dentro altrimenti sei oggetto e non soggetto cioè inconscio
Particella molecolare.
(p. 125)
1959
venerdì 31 luglio
E’ da quest’anno che ho cominciato a dipingere astratto. Non è stato né per rivelazione né per aggiornamento, è stato il bisogno di un nuovo mezzo di espressione.
Ho dipinto sempre più che per pittura, per questo, per desiderio di esprimermi, curiosità della realtà …bella, brutta.
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1964
12 febbraio
Non mi ricordo nulla del giorno in cui sono nato. Eppure ero già io e già c’era il destino di una vita che adesso va verso la fine. Certe caratteristiche ci dovevano già esser allo stato minimo, embrionale come già c’erano nel fisico quelle che si dovevano sviluppare, gli occhi erano già scuri come la pelle.
Già c’era scritto nella mente una formula, un’equazione con dei dati precisi; ma la soluzione forse dipendeva da me e sono divenuto quello che sono non tutto per caso, non tutto per volontà.
(p. 153)
Mario Mafai nasce a Roma il 12 Febbraio 1902. Dalla famiglia viene avviato agli studi tecnici. Mafai però, introverso e fantasioso, è attratto dai dipinti, spesso anche di pessimo gusto, esposti nelle vetrine degli antiquari. Così ancora adolescente s’iscrive alla scuola serale di nudo e comincia a disegnare sotto la guida di Calcagnodoro, un maestro conservatore, dal quale riceve una impostazione molto tradizionale, contestata da Mafai ragazzo, ma di cui in seguito – come avrà occasione egli stesso di scrivere - , riconoscerà il valore.
Nel 1924 conosce Gino Bonichi, con il quale stringerà una lunga amicizia che si rivelerà fondamentale per ambedue. Gino è un pittore dilettante, detto Scipione per la sua figura alta e imponente, e da anni è seriamente malato di tubercolosi. Mafai, sicuro, nonostante l’opposizione della famiglia, che la pittura sia la sua strada, s’iscrive all’Accademia delle Belle Arti, e convince Scipione a seguirlo. Trascorrono giornate chiusi nelle sale della biblioteca di Palazzo Venezia a studiare i classici italiani e stranieri . Scoprono i grandi pittori :Velasquez , El Greco, Pontorno, Goya e Piero della Francesca che in quegli anni il critico Roberto Longhi stava rivalutando. Incontrano per la prima volta, anche se attraverso pessime riproduzioni in bianco e nero, la pittura degli impressionisti francesi, i fiamminghi, i tedeschi. Sono appassionati frequentatori dei musei Spada, Corsini , Doria–Pamphili.
Nell’autunno del 1925 piomba in Accademia, creando un grande scompiglio, una nuova allieva, una straniera, una inglese - Antonietta Raphael De Simon: nata in Russia, ebrea, figlia di un rabbino, ma emigrata con la famiglia in Inghilterra, dove è cresciuta e ha studiato pianoforte, diplomandosi alla Royal Accademy. Viene da un altro mondo, e sopratutto da un’altra cultura. Fra i tre si crea subito una amicizia solidale, che presto con Mafai si tramuta in un forte legame sentimentale. In quegli anni Mafai e Scipione lasciano ogni dubbio sul loro futuro e si dedicano totalmente all’arte. Riescono saltuariamente ad esporre qualche quadro e cercano, disegnando figurini e cartelloni, di guadagnare qualcosa. Mafai, restio a ogni disciplina, è in polemica con il corpo didattico, e viene cacciato dalla Accademia. Nel 1926 nasce la prima delle tre figlie di Mario e Antonietta, e la famiglia va a vivere in Via Cavour, un piccolo appartamento con un grande terrazzo che si affaccia direttamente sugli scavi del Palatino e sui i Fori Imperiali. Mafai lavora intensamente, inseguendo una sua idea di pittura e una tavolozza essenziale a base di terre.
Roberto Longhi nota i giovani artisti, e davanti alle pitture di Mafai, Scipione, Raphael conia per il gruppo la definizione di “Scuola di via Cavour “– sigla che dalla critica non verrà più abbandonata. E’ sempre Longhi che segnala la pittura di Mafai per la sua “allucinazione espressionista”.
Nel febbraio del 1930 Mafai parte con Antonietta per Parigi. Sarà un periodo di fame e di miseria ma anche fecondo, come testimoniato da alcuni articoli sull’arte e l’esperienza parigina ed alcuni disegni inviati a L’Italia Letteraria.
A novembre alla Galleria di Roma, in una mostra con Scipione, Mafai presenta un buon numero di pitture realizzate a Parigi. Mentre Antonietta torna per un certo tempo a Londra, dove, sotto la guida di Epstain, si dedica alla scultura, Scipione nel 1933, a soli 29 anni, muore in sanatorio ad Arco di Trento . Mario rimane solo. Continua comunque a dipingere ed intensifica la sua partecipazione ad esposizioni importanti.
Nel 1935 è invitato alla Quadriennale di Roma che gli dedica una sala personale: espone, tra gli alti quadri, Il concerto, Nudo di donna sdraiato (oggi alla GNAM di Roma), Il modello, Ritratto di Antonietta nello studio, Donne che si spogliano ed alcuni paesaggi romani: Foro Traiano, Paesaggio dal Gianicolo, Castro pretorio.
Nel 1936 è presente alla Biennale di Venezia con tre opere e nel 1937 ha una personale alla Galleria la Cometa, diretta dal poeta Libero de Libero. Con la guerra di Etiopia il clima politico si fa più pesante e iniziano sulla stampa fascista le campagne antisemite. Alcuni amici ebrei - Dario Sabbatello, Corrado Cagli, Nissim - lasciano l’Italia.
Alla Biennale di Venezia del 1938 Mafai è presente con dieci opere. Nello stesso anno alla Galleria L’Arcobaleno di Venezia - presentazione di Emilio Cecchi- inaugura una personale con un buon numero di opere e le prime fantasie con il titolo provvisorio di Cortei.
Ma il clima si fa sempre più cupo; il governo fascista emana le leggi razziali. Le figlie, che non sono battezzate, devono lasciare la scuola pubblica e ad Antonietta, con le nuove direttive, viene proibito di esporre. In autunno Mafai è richiamato alle armi, destinato come riservista alla Caserma Corridoni di Macerata, mentre, con l’aiuto di due collezionisti, Alberto Della Ragione e Emilio Jesi, moglie e figlie si trasferiscono a Genova. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra con la Francia, Grecia, Inghilterra . Ma l’attività artistica ed espositiva non si interrompe. Mafai, congedato dal servizio militare, trova uno studio a Genova, in un vecchio palazzo dietro il porto, in via di San Lorenzo, e si dedica con passione al gruppo delle Fantasie (una ventina di tavolette sul tema della guerra), alle nature morte con i manichini e ad alcuni autoritratti. Seguono una serie di esposizioni importanti: nel 1940 vince, con Modelli nello studio il primo Premio Bergamo, segue una personale alla galleria Barbaroux di Milano e un’altra personale, con Manzù, alla Galleria di Genova (nel 1941). Disegna anche scenografie e costumi per il Coro dei morti di Goffredo Petrassi. La sua tavolozza si rinforza ed abbandona la sua preziosa ricerca tonale.
Nel Luglio del 1943 crolla il fascismo e a fine estate la famiglia lascia Genova e rientra a Roma dove rimane nascosta tutti i mesi dell’occupazione fino alla liberazione nel giugno del 1944. Inizia quindi per Mafai una nuova fase di euforia, di entusiasmo e di nuovi temi: dipinge le strade di periferia, le bancarelle degli ambulanti, paesaggi romani; la sua pittura diventa sempre più essenziale e, in una ricerca di obbiettività, prevalgono ora colori primari con un contorno duro e scarno. A Milano, da Barbaroux, altra mostra personale, per la prima volta insieme ad Antonietta che espone le sue sculture dopo dieci anni di silenzio obbligatorio.
Saranno tre mostre a La Tartaruga (nel 1955 e poi nel 1957 e 1959) e le opere esposte nel 1958 alla XXIX Biennale di Venezia, a segnare la nuova fase del Mafai del dopoguerra. Viene a maturazione una pittura nuova, vibratile e sensibile. Si può dire che Mafai, come scrive allora il critico Venturi, “ha risolto per sé, in modo pieno ed esemplare, il problema dell’astratto-concreto”.
Nel 1964 alla Galleria l’Attico l’ultima mostra, con 15 tele. E’ una svolta radicale, seguita da critiche discordanti, incomprensioni, curiosità. Mafai però va per la sua strada e continua instancabilmente a interrogarsi su coraggio e pericolo in pittura, su verità e realtà (scrive in quei giorni sul diario: “ho bisogno di altro” ) mentre ritrova il limite sottile di bruciante angoscia, lo stesso delle allucinate tensioni iniziali. Muore a Roma il 31 Marzo del 1965.
Per ulteriori approfondimenti:
www.treccani.it/enciclopedia/mario-mafai_(Dizionario-Biografico)/